Angioletta

La fiction di Rai1 Mina Settembre (incentrata sulle attività di un consultorio familiare di Napoli, di cui ho già detto nel precedente “Ginecologi televisivi” di febbraio 2021) nella seconda stagione ha trattato molto bene un problema sempre più diffuso, che ancora suscita numerose quanto inopportune riserve: la disforia di genere. Termine difficile per i più, che sta ad indicare quel malessere di chi non si identifica nel suo sesso biologico e, per i comportamenti conseguenti, incontra non poche difficoltà ad essere accettato tra i cosiddetti “normali”. Della narrazione che ne viene fatta, al tempo stesso delicata da un punto di vista sentimentale e accurata da un punto di vista assistenziale, si riportano alcuni passaggi significativi.

In una scuola media superiore, nel corso di alcuni incontri di educazione all’affettività e alla sessualità, una studentessa di nome Angela, ma in famiglia chiamata Angioletta, decide di parlare di un suo problema con Mina, l’assistente sociale, e anche psicologa, che insieme al ginecologo tiene le lezioni:

A (Angela): Professoressa, vi devo parlare…

M (Mina): Certo, dimmi tutto.

A: Mi sono innamorata di una ragazza, G (Ginevra).

M: E’ una cosa bella!

Ginecologo: E lei ricambia?

A: Sì. Penso di sì. Il problema è che pensa che io sia un maschio.

M: Non vi siete mai viste?

A: Avevamo una storia solo in chat. Ma oggi ci siamo date appuntamento al baretto fuori della scuola.

M: Così… le hai fatto credere che sei un maschio?

A: Le ho fatto credere che sono un maschio perché lo sono! Io da fuori sembro una femmina, ma dentro mi sento maschio. Sono così da quando sono piccola. Non mi trovavo ad essere una femmina. Mia madre non lo voleva accettare. E nemmeno mio padre. Si vergognavano di me. Con le prime mestruazioni stavo per impazzire. L’unica cosa che sapevo dire era: io sono maschio! Gli schiaffi non mi facevano niente. Io mi sentivo maschio e maschio sono rimasto.

M: Può succedere…

A: Perché succede?

M: Il discorso è lungo ed è pieno di parole difficili. Potrebbe trattarsi di una disforia di genere. Le cause sono tante: genetiche, biologiche, psicologiche, sociali. Bisognerebbe andare più a fondo. E soprattutto parnarne con i tuoi genitori.

A: Non avete capito? Hanno cercato in tuti i modi di cambiarmi. M: Ti capisco…
A: Che devo fare con G?

M: Secondo me non hai scelta. Le devi dire la verità…

A: Io ho paura!

M: Se si è innamorata di ciò che hai scritto, secondo me si è innamorata di quello che sei tu. Vai all’appunamento e spiegale tutto. Però le devi lasciare il tempo di capire. Non devi avere fretta. Non pensare che sia facile. Perché per lei non lo sarà.

A si taglia per l’ennesima volta i capelli come un maschio e va all’appuntameto. G, sorpresa, l’accoglie male: nemmeno scende dal motorino e scappa via subito.

M, che ha assistito a tutta la scena, decide di andare a parlarne con i genitori di A, ma da quelli viene cacciata in malo modo: “Questi sono affari nostri”, dice la madre, più intransigente e combattiva del padre, che poi rinchiude a chiave la figlia.

Il mattino successivo, visto che A non è andata a scuola, M le telefona e viene a sapere che la ragazza non può uscire di casa e, quando manifesta l’intenzione di tornare a parlare con i genitori, A le chiede di fare presto, perché nel frattempo G le ha inviato un messaggio in cui dice che vuole rivederla e chiederle scusa.

M si reca di nuovo dai genitori e, di fronte all’atteggiamento duro della madre, li minaccia di rivolgersi al giudice per far sospendere la patria potestà.

Intanto A, giunta sul luogo dell’appuntamento, non trova G, ma viene affrontata dal fratello di lei che con violenza prima le chiede “Sei tu che dai fastidio a mia sorella?”, poi le sferra pugni e calci e, andando via, le dice: “Se ti permetti un’altra volta, ti ammazzo! Hai capito, brutta lesbica di merda?”.

A dolorante va al Consultorio in preda alla disperazione: “Sarà sempre così, che uno come me farà sempre schifo alla gente?”. M cerca di tranquillizarla. Poi, insieme al ginecologo, l’accompagna a fare denuncia per l’aggressione subita e, anche se la ragazza non vorrebbe (“Mi vergogno”), avverte i genitori. A questo punto il padre si impone sulla madre, che cerca di minimizzare, e le ordina di muoversi. Così si recano al Commissariato e finalmente si occupano della loro figlia, facendo intendere che accettano la sua condizione. Il padre, salutando M, dice: “Grazie. E scusate se ci ho messo così tanto”.

Indubbiamente una buona esposizione di un argomento piuttosto delicato ma ancora molto controverso. Soprattutto nella sottolineatura della necessità di un attivo e responsabile coinvolgimento della famiglia a sostegno dell’interessata/o, cui vanno sempre assicurati appoggio e comprensione. Una buona idea dunque, anche contro certa propaganda retriva che osteggia l’informazione scolastica in merito all’identità di genere.


Pubblicato il Novembre 15, 2022