L’infodemia

Con la pandemia da coronavirus si è diffusa un’altra infezione, indubbiamente meno grave ma non meno fastidiosa. Il suo nome? È l’infodemia, così come qualcuno l’ha definita. Deriva dall’incessante effluvio di chiacchiere, spesso virulente, che possono anch’esse far male alla salute. Provengono da quella moltitudine di esperti (o presunti tali) che pare facciano a gara per stare quanto più possibile in televisione.

Non c’è ora del giorno che nei programmi più vari – dai notiziari ai talk show all’intrattenimento – appare, quasi fosse un deus ex machina, un camice bianco, non uno a caso, ma tutti nomi più o meno importanti nell’empireo della sanità italiana. Tanto che, su un quotidiano nazionale, un giornalista si chiedeva: dove trovano il tempo per apparire e la forza di litigare? Con tutto quello poi che sta accadendo intorno…

Invece assistiamo da oltre sei mesi ad una serie di sproloqui infiniti, in cui di scientifico c’è davvero poco, anche perché di questa dannata infezione si sa quasi niente, mentre le tante teorie esposte sono solo ipotesi tutte da dimostrare. Tanto più facile allora che si instaurino diverbi a distanza, che giungono talvolta sino alle offese personali, segno tangibile delle invide e dei rancori che stanno dietro ad un volersi bene di facciata.

Alcune esternazioni, ma in realtà opinioni esposte male più che del tutto sbagliate, dei presenzialisti più loquaci hanno scatenato una serie di proteste da parte dei colleghi più saggi (e preparati). E a ragione, perché esternando le proprie idee, talvolta fallaci, sia sulle regole di prevenzione sia sulla forza del virus, contribuiscono ad aumentare la confusione, finendo col preoccupare piuttosto che tranquillizzare.

Di fronte al grosso guaio che ci è capitato, l’informazione è certamente necessaria, ma ancor di più deve essere la più rigorosa possibile. Sarebbe stato opportuno che la cabina di comando del comitato tecnico scientifico avesse subito stabilito di affidare i messaggi preferibilmente solo ad una persona di provata autorevolezza. Onde evitare che le reti televisive facciano a gara per assicurarsi chi dice di più (fesserie, ahimè).

Questo purtroppo non è stato l’unico flop della comunicazione. Vedi ad esempio, riguardo ai contagi, la continua altalena di alti e bassi. Non ha senso dare i numeri assoluti, quanto la percentuale dei positivi rispetto ai tamponi effettuati, per avere un’idea realistica della diffusione dell’infezione. Così forse avremmo evitato i comportamenti irresponsabili dell’estate, quando ci eravamo illusi che con il lockdown tutto fosse finito.

Nella pratica professionale molto presto mi sono fatto l’idea che la nobile arte medica oltre che complicata è anche e di più variegata. Difficile che tra due medici ci sia pieno accordo su qualcosa! Concetto da me sintetizzato nella frase, spesso ripetuta, “la medicina è bella perché è varia”. In questo sta la sua forza ed il suo limite. Ma nell’emergenza attuale la controproducente conflittualità faremmo tutti bene a dimenticarcela.


Pubblicato il Novembre 10, 2020

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