Pazienti e impazienti

Il non sempre facile rapporto medico – paziente si arricchisce a volte, e particolarmente per nostro merito (o demerito???), di amenità che derivano da quell’esigenza, più forzata che voluta, di una maggiore “umanizzazione” (termine molto abusato!), quasi che la nostra quotidianità sia qualcosa di cui ci si debba per forza, sempre e comunque, vergognare. Talvolta però essa finisce col diventare un vero e proprio accanimento, a partire dalla terminologia da usare.

Chi ha buona memoria ricorderà che molti anni fa la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici propose di abolire il termine “paziente” per porre rimedio a quel che si definiva un “rapporto asimmetrico tra il medico e il cittadino”. Dimenticando l’etimo latino che sta appunto ad indicare “colui che soffre”. E in realtà chi va dal medico, sia “persona” o “cittadino”, il più delle volte non lo fa per divertimento, ma perché lamenta qualche fastidio. Sarà poi la diagnosi a stabilire se si tratti di “malato”.

Per fortuna, nella realtà di ogni giorno, di solito si usa (o si dovrebbe sempre usare?) l’appellativo “signore” o “signora” seguito dal cognome, come in ogni altra relazione civile. Ancor più nel nostro lavoro di ginecologi, in cui spesso si tratta di persone che non “patiscono”, ma in buona salute, come ad esempio le gravide. Per cui la parola “paziente” viene adoperata raramente, negli scambi tra colleghi e solo per facilitare il dialogo. Al contrario, finiremmo col dar ragione a chi ci accusa di considerare gli ammalati alla stregua di numeri.

Ecco perché vien da chiedersi se allora si rifletté su quanto il cambio di etichetta da “paziente” a “malato” possa alla fine rivelarsi controproducente per la psicologia dell’interessato, condizionandone le stesse possibilità di guarigione. Occorre infatti non sottovalutare come certe fini disquisizioni sui termini possano purtroppo portare a dei risultati proprio all’opposto di quello che si intendeva raggiungere, procurando un danno più che un beneficio.

Quella che era sembrata una boutade estiva è proseguita poi nel tempo con una specie di cilindro magico da cui è stata estratta una ridda di definizioni, di tanto in tanto proposte con una regolarità quasi assillante. Si possono citare “cliente”, affaristico come mai dovrebbe essere, “utente”, simbolo estremo di indifferenza, “assistito”, come coperto da protezione divina, e tanti altri ancora, tutti insoddisfacenti, tanto da non giungere ad una soluzione definitiva.

Ma crediamo davvero che possa essere sufficiente una sola parola a migliorare le tante cose che non vanno? Non sarebbe meglio invece concentrare gli sforzi per garantire qualità alle prestazioni? Anche in termini di buona educazione nei rapporti interpersonali. Come cercava di ottenere la campagna britannica che raccomandava ai camici bianchi di uscire dall’anonimato e presentarsi ogniqualvolta si venga ad instaurare un contatto. Altrimenti più che pazienti avremo solo…impazienti.
Giustamente impazienti!


Pubblicato il Settembre 8, 2022