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Gestione della morte endouterina fetale (MEF). Prendersi cura della natimortalità

#17 Racc -Realizzato da FONDAZIONE CONFALONIERI RAGONESE


Il tasso di natimortalità, ovvero il rapporto dei nati morti sul totale dei nati, è uno degli indicatori di salute maggiormente rilevanti di una popolazione; unitamente al tasso di mortalità neonatale precoce (bambini morti entro la prima settimana di vita) costituisce infatti la “mortalità perinatale”. La morte endouterina non è solo un indicatore epidemiologico, ma uno degli esiti avversi più comuni della gravidanza (si verifica circa in 1 ogni 200-300 parti nei paesi industrializzati dell’Occidente) ed è associato a un impatto emotivo molto forte nelle coppie, con esiti talora devastanti sull’integrità psicofisica e sociale. Nella serie di The Lancet The ending preventable stillbirth (2016) è emerso che l’Italia non è in grado di fornire informazioni sulle cause di morte in oltre il 50% dei nati morti tardivi, cioè di quei feti morti dopo le 28 settimane. Non definire una causa, al di là del vulnus statistico, equivale a non trovare una ragione, e non darsi una ragione è per un essere umano – in questo caso per due esseri umani, la donna e il proprio compagno – la cosa peggiore che possa accadere, peggiore anche del lutto e di tutto ciò che a esso consegue. La mente umana è una straordinaria macchina di senso e comprendere il senso e il perché di ciò che ci accade, soprattutto relativamente ad avvenimenti così drammatici come la morte endouterina, è necessario per darsi una ragione e raggiungere un equilibrio interiore. Dal punto di vista strettamente clinico, trovare una causa e/o riconoscere fattori di rischio può essere di grande aiuto per esprimere una prognosi sul futuro riproduttivo della coppia e fornire consigli utili a evitare la ricorrenza. La sensibilità clinica e statistico-epidemiologica nei confronti di questo tema è cresciuta negli anni, così come vi è stata un’impennata degli studi che considerano i determinanti bio-psico-sociali del fenomeno, in diverse parti del mondo. Come per molti altri aspetti dell’assistenza perinatale, i fattori di rischio identificati devono però essere approfonditi e valutati nel contesto socio-culturale specifico. Un primo elemento da considerare è la norma: in Italia viene definito nato morto il feto partorito senza segni di vita dopo il 180° giorno di amenorrea, equivalente a 25 settimane + 5 gg di età gestazionale, un limite che oggi appare obsoleto, alla luce dei progressi dell’assistenza prenatale e di quella neonatologica. Almeno 2 esperienze italiane che si sono sviluppate negli ultimi 10 anni – il Sistema di sorveglianza della mortalità perinatale realizzato dalla Regione Emilia-Romagna (2014) e la Sorveglianza pilota della mortalità perinatale SPItOSS dell’Istituto Superiore di Sanità (2017) – hanno fornito una stima della natimortalità maggiormente precisa di quelle precedentemente disponibili. Possiamo ora affermare con ragionevole certezza che la prevalenza del fenomeno natimortalità si attesta intorno a 3-4/1000, un valore che conferma l’Italia in posizione privilegiata nell’ambito dei paesi europei; vi sono però importanti differenze regionali che indicano un’ineguaglianza di salute. Un’altra osservazione deriva dalla presenza nella nostra popolazione di fattori di rischio non dissimili da quelli presenti in altre realtà occidentali; alcuni di questi fattori sono modificabili, quali obesità e abitudine tabagica, in quanto legati a stili di vita non corretti. Interventi mirati a modificare l’alimentazione, stimolare l’attività fisica e ridurre fumo e alcol in gravidanza si sono dimostrati efficaci nel miglioramento di tutti gli esiti perinatali. Infine, lo studio delle cause specifiche della natimortalità è stato storicamente ostacolato dalla mancanza di protocolli uniformi per valutare e classificare i nati morti e dalle poche indagini eseguite (prima fra tutte l’autopsia e l’esame istologico della placenta) e ciò soprattutto per motivi culturali, oltreché organizzativi.Per tutti questi motivi nasce quest’opera, allo scopo di aiutare tutti i professionisti coinvolti nell’assistenza alle coppie che sperimentano questo tragico avvenimento nel corso della loro vita. Dotandoli di strumenti tecnici e culturali con i quali offrire alle famiglie in lutto la migliore assistenza possibile, professionale, ma empatica, attraverso tre parole chiave: diagnosi, prognosi e sostegno.

Fabio Facchinetti e Antonio Ragusa

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Pubblicato il Marzo 3, 2023

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